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Il Piccolo Principe: Iniziazione alla logica dello Spirito
a cura di Maddalena Braconi
   
 
Il Piccolo Principe: Iniziazione alla logica dello Spirito

Dico subito: Saint-Exupéry
o è un autore che incontri da giovane
e nei sei conquistato,
o lo incontri nel corso della tua maturità,
e allora lo leggi col dovuto distacco critico.
Io l’ho incontrato troppo tardi,
non ne sono un lettore devoto […]
Ma la sua leggenda mi affascina.
(Umberto Eco)

***

Non so cosa mi abbia portato a sfogliare le pagine de Il Piccolo Principe per la prima volta : forse una bella giornata d’estate, quando i libri più piccoli sembrano gli unici capaci di essere letti o forse qualcos’altro che non so definire. Poi la passione per la lingua francese e il ricordo d’altre due riletture del libro, mi hanno accostato di nuovo a questo testo e così è iniziato il mio percorso tra le parole, le immagini, i dubbi.
Saint - Exupéry pubblicò il libro nel 1943, quando l’Europa delle democrazie era soffocata dal mostro nazista e la Francia subiva la sua disfatta. A queste sofferenze si deve aggiungere la solitudine dell’autore e una cattiva salute fisica: lentamente spogliato di quello che amava e dava un senso alla sua vita, si sentiva investito da un deserto senza fine che lo soffocava. Le sue angosce non sono scomparse e l’isolamento si è fatto distaccamento: dal suo silenzio profondo sono, poi, sorte quelle parole che sono diventate creazione. Ed è proprio dietro questo piano silenzioso che racchiude nella stessa sfera l’idea di confine e di sconfinato, d’eterno e di temporale, di logica e di spirito che nasce il Piccolo Principe, racconto in cui l’immagine trova espressione attraverso le parole e il pensiero diventa linguaggio enigmatico.
Seguendo le linee di un’analisi che ha richiesto la consultazione di svariati autori ( Drewermann, Emy Beseghi e Cosimo Laneve, Monin Yves, Ferdinando Banchini) e di differenti concezioni filosofiche alle quali s’ispirava lo stesso Saint-Exupéry (pascaliana, cartesiana, nietzachia, junghiana), ho elaborato la mia ricerca descrivendo le diverse sfere interpretative (psicanalitica, pedagogica, esoterica) che sono nate intorno a questo testo, concentrandomi, in particolar modo, sul valore Iniziatico che l’opera racchiude in se. Monin Yves con il suo libro intitolato L’esotérisme du Petit Prince è stato il punto di partenza dal quale è maturata la struttura del mio lavoro.
Ho suddiviso, così, il mio elaborato in tre parti: nella prima ho cercato di descrivere l’humus da cui è nato il personaggio del Piccolo Principe, le sue caratteristiche, il pianeta su cui abitava e dal quale voleva “evadere”. Ho messo, quindi, in evidenza come nei primi capitoli tutti gli elementi si uniscono per concimare il “terreno fertile dell’iniziazione” e per spingere il piccolo protagonista verso una fuga che, dietro alle difficoltà nel gestire il rapporto con una rosa, nasconde l’esigenza di un viaggio interiore.
La seconda parte, invece, è tutta incentrata sulla figura del Pilota: un personaggio che dilata la sua sfera d’appartenenza sino a concentrare in sé il ruolo del narratore e, non senza ambiguità, quello dell’autore. Confrontandosi con un deserto reale e simbolico, l’aviatore compierà un lungo percorso che lo porterà dalla dimensione di Pilota-Iniziato dal Piccolo Principe a quella di Scrittore-Iniziatore del lettore.
La terza parte, infine, si concentra di nuovo sull’immagine del Piccolo Principe. Dal viaggio attraverso i sette asteroidi sino all’approdo decisivo sulla terra, il piccolo eroe traccia un percorso di maturazione spirituale che lo vede confrontarsi con diversi personaggi. L’incontro decisivo con la volpe porterà a termine una silenziosa Iniziazione che, solo dopo l’incontro con il pilota, trasformerà il Piccolo Principe in Iniziatore. La morte, spoglia d’ogni drammaticità, lo condurrà, infine, verso un ritorno dove l’ambiguità avrà la meglio.
Dallo studio accurato del libro è emerso che quest’opera non è una semplice sequenza d’immagini gratuite, né una lettura per bambini. È un racconto esoterico espresso tramite una simbologia complessa che, attraverso consigli e idee, cerca di condurre il lettore verso la sua iniziazione personale. Saint-Exupéry lo dice chiaramente: “Dell’iconografia m’importa solo ciò che essa esprime. Del resto, che cosa mi posso aspettare al di là dei simboli?” . C’è, dunque, una fiducia nell’apparato simbolico, nel potere creatore che ogni immagine ha in sé: esse ci permettono di passare da un piano quotidiano e materiale alla vita permanente dello spirito, da un istante privilegiato e raro, ben localizzabile nel tempo, ad una realtà atemporale e universale. È difficile avvicinarsi all’opera di Saint-Exupéry senza essere disposti a seguire i numerosi tentacoli del Senso che, diversificandosi, non fanno altro che rafforzare la stabilità del suo corpo centrale. Da questa foresta di simboli che non vogliono essere catturati nelle loro univocità, scaturisce un esito che vede difettare la logica formale, ma che, lontano da ogni dogmatizzazione limitativa, amplifica la dimensione dello spirito fecondandola di parole e idee che nascono dal profondo. D’altronde come ha affermato Michel Autrand:” Avant d’être un mode d’expression littéraire, le symbole est pour Saint-Exupéry une façon de sentir […] C’est au symbole qu’il demande d’exprimer l’effort existentiel de l’homme qui doit lutter contre l’entropie en contrariant par son action celle du temps…” . Il simbolo è in stretta relazione con la sua sensibilità, ma è stato, allo stesso tempo, per l’autore, un grande strumento di riflessione che gli ha permesso d’accedere all’ambiguità del senso, a conoscere le strette relazioni che legano il proprio essere con il mondo circostante.
Tre livelli d’insegnamento s’intrecciano nel contesto, ogni volta cambiando interlocutori. Il narratore istruisce il lettore ricordandogli la minaccia dei baobab e raccontandogli la sua esperienza fantastica. Il pilota, a sua volta, viene istruito dal bambino e apprende che i legami orientano l’esistenza e l’essenziale è invisibile agli occhi. La volpe, infine, inizia il piccolo eroe alla lentezza e all’importanza dell’“addomesticamento”. S’instaura, così, una gerarchia dove si alternano le figure d’Iniziato e Iniziatore e dove ognuno ricopre un ruolo essenziale per il prossimo. Non si deve dimenticare, inoltre, l’ultimo intervento dell’autore che, una volta finito il racconto, riprende la penna per disegnare “le plus beau et le plus triste paysage du monde”, due dune di sabbia sotto una stella incolore: l’inorganico svuotato di ogni umanità. Questa immagine si apre, nella pagina finale, con tutta la sua ambiguità accompagnata dalla domanda insoluta: la pecora ha mangiato o no la rosa? “C’est là un bien grand mystère”. [...]
La struttura del Piccolo Principe si fonda su un piano temporale definito. Dopo il preambolo del primo capitolo, segue l’aneddoto e, da questo momento, siamo catapultati nel passato del piccolo protagonista, lo rincorriamo nelle sue peripezie, partecipiamo all’incontro con il pilota prima che l’ultima pagina ci riporti all’attualità. Presente e passato si mescolano nella mente di Saint-Exupéry per regalarci un’attenta meditazione nutrita di memoria, per consegnarci un racconto dove la conquista è anche amarezza e le vie interpretative percorsi intrisi d’ambiguità.
Dalla sua infanzia ( “Lorsque j’avais six ans” ), al momento in cui scrive, sei anni dopo la scomparsa del Piccolo Principe ( “Et maintenant bien sûr, ça fait six ans déjà…” ), il pilota-autore traccia una cronaca latente che si sottopone ad una lettura simbolica impegnativa dove l’enigma ha la meglio.
Il processo narrativo del libro è dominato dall’idea che “l’essenziale” non è nelle cose, ma nei nodi che le legano. Viene, dunque, spontaneo chiedersi se il senso è immanente alle cose o se è solo il risultato di un procedimento operato dallo spirito umano. La risposta di Saint-Exupéry a questa domanda cruciale non lascia possibilità di fraintendimento: è la coscienza dell’uomo che da senso al mondo. Secondo l’autore, infatti, non esiste una realtà a priori, già prestabilita, indipendente dalle scelte e dai punti di vista, non c’è una verità che si lascia percepire in maniera definitiva. I concetti non nascono dall’esperienza, ma sono il frutto del lavoro di uno spirito superiore alla ragione logica e l’uomo, concepito come libero produttore di senso, ha il difficile compito di rendere intelligibile questo mondo: egli ne è, dunque, responsabile. Ma questo non vuol dire che tutti i punti di vista si equivalgono, in quanto la verità creata è forte o debole a secondo dei risultati che ottiene.
André Devaux sostiene, quindi, che nell’opera di Saint-Exupéry c’è una dinamica della verità che soltanto l’intuizione può intravedere, poiché lei, sola, è capace di oltrepassare i sillogismi dell’intelletto.
Certo l’intelligenza cognitiva, l’abilità, la competenza sono qualità importanti soprattutto all’interno di un sistema socio-economico tecnocratico, poiché conducono al vantaggio competitivo e alimentano le differenze strategiche tra individui. Ma, secondo l’autore, non sono essenziali quanto il “cuore”, che rimane il nutrimento imprescindibile del sé.
La preoccupazione principale dello scrittore rimane, quindi, quella di tentare di dare un senso alla vita in un mondo dominato dal conformismo e dall’alienazione. Un mondo incarnato dai grandi, dagli adulti di cui l’autore compie una rassegna impietosa, severa e carica di pungente ironia, ma sui quali non smette, secondo me, di sperare, provocandoli, in questa stessa opera, con le armi taglienti della scrittura.
Non dobbiamo dimenticare che Saint-Exupéry è vissuto nel clima culturale dominato dall’esistenzialismo e dal surrealismo che hanno profondamente inciso sulle sue opere. Con Sartre e Camus condivide profondamente la denuncia dell’inautenticità in cui viviamo, l’incomunicabilità e la solitudine dell’uomo; con Malraux è impegnato ad interpretare la “condizione umana” con i suoi drammi, mente attinge dal surrealismo quell’atmosfera sospesa nel sogno e il filone di più vite condotte in una volta: il Piccolo Principe è, nello stesso tempo, osservatore, viandante, giardiniere, astronomo. Un altro punto di riferimento potrebbe essere Martin Heidegger. L’heideggerismo qui, però, assume valenze diverse incentrato com’è sul tema dell’”essere nel mondo” in bilico tra la dispersione nell’inautenticità e la possibilità di dominare il proprio destino. L’autore sa bene che il mondo si presenta sotto l’aspetto del disvalore, della frantumazione, della disarmonia ed è proprio partendo da questa condizione che egli cerca di orientare la sua ricerca verso la costruzione di significati esistenziali che la poetica del volo contribuisce a rafforzare.
Opera aperta, carica d’infiniti rimandi e possibilità interpretative, Il Piccolo Principe si offre anche, secondo Emy Beseghi, ad una rilettura pascaliana dove, però, la fede in Dio è sostituita dalla fede in un regno nascosto, invisibile, che sta sotto la superficie delle cose e che solo il cuore può conoscere:
Questo regno segreto chiede di essere protetto dall’assalto del quotidiano e da quella ragione cartesiana che non sa vedere dietro la scorza dei fatti e diffida di ciò che non è misurabile. E cioè di quell’invisibile che nasconde l’essenziale. La ragione, così efficacemente impersonata dagli adulti, si ferma alla superficie delle cose, coglie i numeri, le cifre e il valore in denaro, ha sempre bisogno di spiegazioni visibili. Dunque, non pone interrogativi, non scopre ciò che è contraddittorio, non vede le differenze. Anche per Pascal la ragione è impotente di fronte al mistero dell’uomo, un mistero che richiede altri strumenti di conoscenza come il sentimento o quel esprit de finesse capace di cogliere la contraddittorietà dell’esperienza umana. Carica d’echi pascaliani è dunque la frase “non si vede bene che col cuore”. Sorprendenti e davvero strette sono poi le connessioni che si trovano tra I pensieri di Pascal e Il Piccolo Principe: alcune riflessioni di Pascal sembrano rappresentare una sorta di premessa a cui Saint-Exupéry ha attinto nell’ideare il libro .
La dimensione del “sentire” è inevitabilmente accentuata dall’autore, poiché essa rappresenta l’esperienza profonda, ma culturalmente marginale, dell’interiorità che purtroppo viene spesso confinata nel privato o coltivata come tratto latente della propria identità. C’è una profonda mancanza di fiducia in quella logica che si costruisce intorno ad un’intelligenza che non cresce attraverso l’incontro dialettico con la dimensione spirituale.
Il problema che si pone a questo punto è se il Piccolo principe sia davvero un libro adatto ai bambini. La risposta non è facile visto che i capolavori per l’infanzia si sono sempre situati in una fascia di difficile collocazione, validi al tempo stesso per i bambini e per gli adulti: Le avventure di Pinocchio, Alice nel Paese delle Meraviglie, Peter Pan e Mery Poppins sono opere che fanno fatica ad essere inquadrate e riposte in uno spazio dai nitidi contorni.
Allo stesso tempo, leggendo, anche superficialmente, questo racconto, si notano dei particolari che lo distinguono dai classici racconti di finzione e d’avventura adatti ad un pubblico infantile. Emergono delle situazioni, degli elementi illogici, impensabili per uno spirito cartesiano positivo: la presenza di un bambino solo nel mezzo di un deserto, attorniato da animali che parlano, oggetti insoliti come un pozzo di campagna tra le dune, l’esistenza di un pianeta minuscolo, il disegno incessantemente richiesto di una pecora. Seguono espressioni paradossali (“On ne voit que avec le coeur”), strane affermazioni (“Ce que les hommes cherchent pourrait se trouver dans un peu d’eau ou dans une rose”), una struttura temporale non lineare e un’inerenza, dietro queste immagini e questi temi inverosimili, di un tono serio e a volte moralizzante che cerca di controbilanciare qualche espressione più sobria. Tutto ciò evoca creazioni surrealiste, racconti di fate, alcuni trattati assurdi d’alchimia, storie mitologiche e religiose, ermetiche opere letterarie e, in una parola, atmosfere esoteriche.
Monin Yves nel suo libro abbraccia pienamente quest’interpretazione mistica affermando che l’autore, attraverso le vicende del Piccolo Principe, costringe l’uomo a “s’étonner” davanti all’ostacolo dell’incomprensione e dell’assurdità, a sentire una realtà che freme al di là della sua realtà. Lo obbliga non solo ad accettare un nuovo universo, non razionale, dove ogni miracolo si mostra possibile, ma anche ad ammettere d’aver vissuto dentro questo sogno.
Alla fine il pilota dovrà acconsentire al ritorno sistematico e cosciente del suo amico a quel pianeta parallelo al suo: sarà obbligato a dubitare del suo modo d’accostarsi al mondo reale e a comprendere la tristezza, il dolore, la miseria che vi predominano e contro la quali cerca vanamente di opporsi. Arricchito da questo viaggio interiore il pilota può permettersi di portare con sé un nuovo sapere che gli servirà da guida per un’ipotetica vita di gioia e felicità.
Monin Yves, però, non esclude completamente la valenza pedagogica del libro, a patto venga letto “en profondeur”.
La rete simbolica e il linguaggio complesso che fa da struttura a quest’opera, m’impedisce di pensare che essa possa essere oggetto di una lettura infantile. Le frasi si presentano come un insieme d’aforismi e di parole allusive che non solo non possono essere colti dalla mente di un bambino in maniera autonoma, ma creano delle difficoltà interpretative anche per gli adulti. Mentre, per esempio, ascoltando una fiaba d’Andersen, un bambino riesce a percepire la storia e le immagini che lo compongono per poi lasciarsi andare, su un piano inconscio, agli effetti pedagogici che la simbologia provoca in lui, di fronte alla lettura del Piccolo Principe, invece, egli ha bisogno di una guida educativa che lo inizi al mondo dei simboli in maniera libera e priva di forzature.
Senza contare che, come fa notare Drewermann, Saint-Exupéry termina il racconto in maniera alquanto insolita o, per lo meno, difficile da collocare nella sfera della letteratura per bambini.
Naturalmente, quella dello psicanalista, è solo una delle molteplici interpretazioni elaborate su questa strana conclusione che effettivamente, però, lascia aperto il terreno fertile dell’ambiguità.
Questo è un testo che, a mio parere, un bambino non può leggere proficuamente da solo e, in alcuni casi, non basta nemmeno che sia affiancato dal supporto di un adulto, quando questo sostegno si trasforma in interpretazione statica e limitativa. Ne verrebbe meno lo spirito che domina il racconto, uno spirito di ricerca di una verità che, chiaramente, per Saint-Exupéry, non ha confini netti, margini definiti e vie interpretative univoche. È un cammino, quello della ricerca della verità, che qualifica l’esistenza personale e che prende il via dalla capacità della ragione d’innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l’infinito. E poiché la verità non è mai data una volta per sempre come se fosse una realtà immobile e chiusa in se stessa, ma è sempre tesa verso il compimento, tale viaggio è destinato a durare tutta la vita.
Credo che Saint-Exupéry non abbia scritto Il Piccolo Principe per un pubblico di piccoli lettori e lo dimostra il fatto che il libro è dedicato al suo amico Leon Wert “quand il était petit garçon”. Non ha dunque destinato le sue parole allo sguardo attento di un bambino, ma ad un adulto che è stato un bambino, ad una persona matura che è divenuta tale dopo essere stata quello che è stata, ma che, nonostante tutto, resta, in ogni caso, un adulto.
Nel IV capitolo, infatti, dice:
J’aurai aimé commencer cette histoire à la façon des contes des fées. J’aurai aimé dire :
« Il était une fois un petit prince qui habité une planète à peine plus grande que lui, et qui avait besoin d’un ami… » Pour ceux qui comprennent la vie, ça aurait eu l’air beaucoup plus vrai .
Ma alla fine non scrive per questi ultimi! Forse scrive per se stesso, per non dimenticare il suo amico, per non dimenticare il Piccolo Principe.
Il fatto di scusarsi con i bambini per aver dedicato il suo racconto ad una “grande personne” che è stata un “enfant”, rappresenta, secondo me, uno stratagemma narrativo per evitare che la sua opera venga letta con lo sguardo razionale e logico dell’adulto. Se non avesse fatto questa premessa sarebbe stato difficile immergersi subito nell’atmosfera fantastica del secondo capitolo!
Sembra che Saint-Exupéry ci voglia preparare a non aspettarci niente di estremamente razionale sin dall’inizio, per permetterci di accettare senza condizionamenti quello che verrà descritto. È importante, per lui, che il lettore si disarmi, prima ancora d’iniziare a leggere, delle sovrastrutture e della logica che indossa ogni giorno; è essenziale che, come il pilota nel deserto, anch’egli non trovi, ma scopra e riceva ciò che non ha cercato, per non perdere quella capacità di stupirsi e meravigliarsi che arricchisce ogni conquista inaspettata.
Non è una reazione ingenua quella che l’autore si aspetta da chi legge, ma, al contrario, una capacità di sospendere la logica della ragione per completarla con quella dello spirito che, solo, permette di cogliere quell’essenziale che è “invisibile agli occhi”. Lo Spirito vince sull’Intelligenza, Pascal s’impone a Cartesio in questo libro in cui la parabola descrittiva è tutta strutturata su un’ascesi spirituale.
Ritengo che il miglior modo per concludere questa ricerca è affidarsi alle parole di Banchini che riesce a dare un’idea chiara della dialettica su cui si fonda il confronto tra Spirito e Intelligenza nell’opera di Saint-Exupéry:
Solo lo spirito governa gli uomini ; a essi si sottomettono, come servi, l’interesse, la felicità, la ragione.
Domina l’intelligenza, perché questa è portata a considerare i singoli elementi, ma solo lo spirito vede l’essere unico che quegli elementi compongono, cattura il dio che dà unità e significato a frammenti altrimenti disparati e divisi. Lo spirito sa afferrare intuitivamente l’invisibile e profondo legame che unisce le cose, mentre l’intelligenza tutto analizza, scompone, incasella, senza tuttavia riuscire a penetrare le realtà nascoste, senza comprendere né amare quelle contraddizioni che della vita sono tanta parte, e la meno superficiale. Il primo si innalza agilmente fino all’assoluto, l’altra si muove nell’immediato e nel pratico: l’uno è istinto e amore, l’altra calcolo e critica, nell’uno è certezza di comunione, nell’altra possibilità di solitudine; quello libero generatore di vita, questa rinserrata in uno spazio nitido e freddo, ma arido; lo spirito può attingere il sacrificio, l’intelligenza si accompagna sovente a considerazioni di utilità.
L’acume della mente è ben poca cosa confronto alla bella sostanza umana; ben poca cosa quando non è ravvivato dal cuore.
L’intelligenza dei logici potrà anche dimostrare tutto, ma raramente rivelare ciò che sappia infervorare e nutrire gli uomini.
Solo lo spirito è creatore. Esso solo sa percepire in un’immagine ancora confusa che nasca e prenda forma nell’intimo, e tutto volgere a essa, e su tutto prevalere perché si realizzi.
Le forze che danno vita alle cose, che le sostanziano, che le dirigono, sono assai più profonde e possenti delle analisi, dei progetti, delle dimostrazioni. Lo spirito solo fertilizza l’intelligenza e la feconda dell’opera future che poi essa porterà a termine .
Ed è così che seguendo un percorso tortuoso fatto d’incontri, di rivelazioni, di scambi, Saint-Exupéry ha allestito un’opera dove l’uso vizioso dell’intelligenza è destinato a soccombere almeno su un piano metafisico. Nella miscela d’immagini e parole si nasconde un invito a riflettere sui quei valori che lasciano che l’essere prevalga sull’avere e che esaltano il peso della responsabilità e la lucidità del cuore. Si profila un’arte del vivere che si nutre del prezzo della lentezza, dell’importanza della scoperta, del superamento dell’apparenza. E se qualcuno affermasse che le risposte suggerite dall’autore appaiono qualche volta insufficienti, basta dire che egli stesso non avrebbe mai cessato di riproporle e di riprenderle: era, infatti, più interessato a porsi domande piuttosto che fornire soluzioni. Questa d’altronde, al di là della ricerca dei valori e dei significati, è “la favola ostinata dell’enigma”.




 
   
 
INFORMAZIONI SULL'ARTICOLO
 
'Il Piccolo Principe' è, per l'autrice, oggetto di studio profondo tant'è che la stessa decide di farne una tesi di laurea in filosofia. Ha presentato il suo lavoro in una conferenza organizzata dal Centro Studi 'Il Risveglio' il 5 Ottobre 2005
   
 
INFOMAZIONI SULL'AUTORE
 
Maddalena Braconi è nata a Jesi il 03/06/1981 e risiede a Santa Maria Nuova (An)
Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico Federico II di Jesi si iscrive alla facoltà di Filosofia di Bologna dove si laurea con la votazione di 110/110 con menzione di lode.
E' stata vincitrice della Borsa di Studio “Erasmus” presso l’Università Nice Sophia Antipolis di Nizza con durata di 9 mesi durante l’anno accademico 2003/ 2004.
Consegue l'Attestato di Lingua Inglese (livello C)nell’anno accademico 2004/2005 presso il Centro Interfacoltà Di Linguistica Teorica e Applicata L. Heilmann di Bologna.
Ha inoltre conseguito il DELF ( Diplôme d’ Etudes en Langues Françaises) secondo livello presso l’Associazione Culturale Italo-Francese Maison Française di Bologna.

CAPACITÀ ATTITUDINALI E INTERESSI:
Flessibilità, spirito di squadra e di adattamento, puntualità, capacità organizzative e comunicative, spiccate abilità creative (creazione di accessori e bigiotteria in ferro, rame, metalli e tessuti vari; predisposizione al riciclo di materiale per la realizzazione di accessori personali e d’arredamento).
Passione per la moda, il cinema, la fotografia.



mail: maddalenacollina@tiscali.it