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QUALITA’ “MASCHILI” E “FEMMINILI” DELL’ASCOLTO NEL COUNSELLING ROGERSIANO
a cura di Angela Leonetti
   
 
QUALITA’ “MASCHILI” E “FEMMINILI” DELL’ASCOLTO NEL COUNSELLING ROGERSIANO
Nello spazio dedicato a questo intervento desidero soffermarmi sulle qualità maschili e femminili dell’ascolto nell’accezione radicale concepita da Carl Rogers(1), e sul suo potenziale correttivo rispetto a un tipo di consultazione come quello astrologico.
Il counselling è una professione autonoma, dotata di una propria filosofia e di un proprio metodo. Essa fa parte a pieno titolo delle professioni di aiuto e si rivolge a situazioni di disagio o di crisi che individui, famiglie e gruppi attraversano nel corso del loro ciclo vitale.
Scopo del counselling è agevolare il cambiamento, renderlo possibile attraverso l’elaborazione costruttiva delle emozioni dolorose o scomode (quali la rabbia e la paura), lo scioglimento delle convinzioni rigide che bloccano l’assunzione di nuove prospettive e nuove possibilità, e il recupero di risorse personali utili a far fronte alle mutate condizioni che il soggetto o i soggetti si trovano ad affrontare. È un tipo d’intervento che si ferma, e deve fermarsi, in presenza di disturbi di personalità, di disagi psicologici profondi o sindromi psichiatriche, per i quali esistono professioni apposite e regolamentate da tempo.
Le situazioni di crisi o di disagio esistenziale sono materia ben nota agli astrologi, che quindi condividono questo aspetto della loro professione con i counsellor e con le altre professioni di aiuto. L’approccio all’aiuto, tuttavia, è alquanto diverso.
L’astrologia è, all’origine e nei suoi fondamenti, un’arte divinatoria: essa inquadra le caratteristiche dell’individuo sulla base di una griglia di simboli maturata nel corso dei secoli, e si serve dello spostamento di tali simboli nel tempo (utilizzando numerose tecniche di previsione, la più nota delle quali è quella dei transiti) per allungare lo sguardo sul futuro dell’individuo stesso.
L’astrologia di taglio umanistico si basa sulla medesima tradizione simbolica secolare, che nel momento in cui ha incontrato la psicologia junghiana ha arricchito i propri significati di nuovi e più moderni elementi. Tali elementi si sono progressivamente imposti nella pratica professionale: la dimensione divinatoria si è fatta meno centrale e pressante, via via che le domande “come sarà il futuro?”, “cosa succederà?” sono state gradualmente sostituite da interrogativi del tipo: “come posso affrontare al meglio le dinamiche che si affacciano all’orizzonte?”, “come può questa parte del tempo contribuire alla mia crescita personale?”.
In altre parole, la prospettiva divinatoria ha perso pian piano il suo aspetto di lettura del “già scritto” (nei cieli) per mantenere uno sguardo sul futuro in chiave di contributo costruttivo dell’individuo alla propria crescita, mediante lo sfruttamento del potenziale e l’accettazione dei limiti insiti nel periodo che ci si appresta ad affrontare. La lettura delle caratteristiche psicologiche dell’individuo si è approfondita moltissimo, mentre sono entrati a far parte del vocabolario astrologico termini come inconscio, individuazione, complesso, evoluzione, ombra, ecc.
Il counselling rogersiano individua nelle tecniche che fanno capo al cosiddetto “ascolto attivo” i propri strumenti fondamentali. Alla base c’è una visione dell’individuo che suggerisce, fra le altre cose, un rispetto radicale dei bisogni del cliente, al punto da sconsigliare ogni intrusione di contenuti che non siano da lui stesso specificamente portati.
In altre parole, il cliente non deve attendersi dal counsellor alcuna “illuminazione” su se stesso, alcuna lettura del proprio carattere, come può invece avvenire attraverso una carta di nascita, né alcuna intuizione su ciò che lo aspetta, anche solo nel senso di un’interpretazione delle proprie dinamiche interne in preparazione. Questo aspetto di lettura eseguita “dall’esterno” (rispetto al cliente) e di sguardo al futuro, anche se non più concentrato sugli eventi, sono estranei al counselling, il quale si concentra invece sul qui e ora della relazione, sulla chiarificazione dei bisogni impliciti, sul contatto con le proprie sensazioni ed emozioni e sulla conseguente soddisfazione dei bisogni progressivamente esplicitati. L’orientamento all’azione, la progettualità, scaturiscono dal cliente e sono agevolati dalla relazione con il counsellor, che assolve quindi a una funzione maieutica.
È possibile rivolgersi tanto all’astrologo che al counsellor per essere aiutati a prendere una decisione; in tali casi l’astrologo utilizzerà transiti, progressioni e altre tecniche predittive. Quello che cambia è la centralità del cliente: fondamentale per il counselling (in quanto lo caratterizza fin dalle sue origini), per l’astrologia è un’acquisizione recente; il senso di ogni arte divinatoria, infatti, è sempre stato quello di inserire correttamente le azioni dell’individuo nel contesto cosmico. Per lunghissimo tempo al centro dell’interesse astrologico non c’è stato l’individuo, bensì l’ordine delle cose.
L’esigenza di difendere la dignità della nuova astrologia (umanistica), e la centralità nella quale essa intende porre l’individuo, hanno recentemente indotto gli studiosi di astrologia psicologica a porre maggiore attenzione al rapporto con il cliente. L’astrologo che viene interpellato, infatti, deve necessariamente concentrare la propria attenzione sulla carta di nascita del cliente, nonché sui transiti o sulle progressioni, per trovare risposta ai quesiti che gli vengono presentati. Nel far questo c’è il rischio che perda di vista il cliente come persona, le emozioni che questi porta in seduta; che non compia una sufficiente analisi della domanda e soprattutto che, trascinato dalle molte cose che “vede” e legge nella carta, semplicemente non lo stia ad ascoltare se non in modo molto superficiale, arrivando a porsi implicitamente come “colui che sa”.
È cosa ben nota, agli addetti ai lavori, che nonostante la volontà di svincolare il cliente dalla dipendenza dall’evento, da “ciò che accadrà”, il più delle volte le aspettative di chi si reca dall’astrologo non sono affatto orientate alla crescita personale e all’assunzione di responsabilità nei confronti della propria esistenza, quanto piuttosto a conoscere, appunto, cosa riserva il futuro.
Può essere quindi necessario dedicare parte della seduta o delle sedute ad una sorta di “rieducazione” o riorientamento delle aspettative del cliente; ma se si vuole che il cliente sposti il focus della propria domanda di aiuto è necessario che l’astrologo disponga di strumenti adeguati – in tal senso la capacità di ascolto e la presenza nella relazione risultano fondamentali, ed apportano elementi di “femminile” ricettività.
Nell’accezione comune il prestare aiuto richiama una certa qualità femminile “materna” insita nella volontà di “prendersi cura” del cliente, di accudirlo, in un certo senso; di fatto, non di rado il prendersi cura manifesta una valenza aggressiva e quindi, al contrario, maschile: le nostre migliori intenzioni di aiutare possono renderci molto attivi, indurci a sfornare opinioni e consigli e soluzioni, a volte arrivando a sostituirci a colui o colei che ha chiesto aiuto.
La situazione di disagio dell’altro e la sua richiesta possono prenderci la mano e autorizzarci ad una vera e propria invasione di campo, invasione non giustificata neppure dal fatto che l’altro possa esserne complice con il suo atteggiamento passivo, che delega a noi la responsabilità delle proprie scelte.
Per il counselling rogersiano tale “invasione di campo” si esprime attraverso i cosiddetti “cinque comportamenti ostacolanti”: valutazione, investigazione, soluzione, sostegno, interpretazione. In breve, invadiamo il campo esistenziale e decisionale del cliente (agendo pertanto una qualità maschile distruttiva):
• ogni volta che, implicitamente o esplicitamente, giudichiamo i suoi vissuti o anche solo non siamo consapevoli delle gerarchie di valore che ci guidano, e che possono a buon diritto non essere da lui condivise;
• ogni volta che offriamo consigli e soluzioni cortocircuitando il naturale processo di aggiustamento interno del cliente nei confronti di una nuova situazione;
• ogni volta che supportiamo in modo eccessivo il cliente tentando di ridurre l’impatto del suo vissuto per ridurre il disagio (ma di chi? suo o nostro?) e attribuirgli una “normalità” (“è così per tutti”) che di fatto gli sottrae la specificità delle proprie vicende e le banalizza;
• quando continuiamo a chiedere ulteriori elementi e dettagli senza vera necessità, spinti dalla curiosità o da ciò che pur vediamo sulla carta astrologica, che però non è, in quel momento, riconducibile al quesito che il cliente ci ha posto arrivando in consultazione;
• quando, infine, offriamo le interpretazioni ricavate da una carta di nascita non in modo interlocutorio, ovvero costantemente disposto al confronto con la persona reale, bensì come se si trattasse di “diagnosi” scarsamente appellabili.
La centralità del cliente nella relazione d’aiuto e la priorità dell’ascolto, espressa anche attraverso l’astensione da comportamenti come quelli appena indicati, possono facilmente far pensare ad una certa passività insita nel modello di counselling rogersiano. Lo stesso Rogers definì il proprio metodo “non direttivo”, e all’epoca (anni Sessanta del ventesimo secolo) ciò aveva il chiaro scopo di proporre un’alternativa clinica che restituisse potere al cliente, potere che la psicoanalisi aveva sottratto stabilendo l’incontrollabilità dell’inconscio nelle vicende umane e la necessità della mediazione interpretativa di professionisti specificamente formati, gli psicoanalisti appunto.
Senza approfondire questo aspetto, che mi porterebbe troppo lontano, basti ricordare che Rogers – in piena adesione alla filosofia umanistico-esistenziale – credeva profondamente nella naturale tendenza alla crescita e alla realizzazione dell’individuo, tendenza che a suo avviso non andava in alcun modo diretta o forzata ma al contrario agevolata con il movimento opposto, che consisteva nel togliere ostacoli; egli dedicò la propria vita professionale alla valorizzazione della relazione con il cliente (come principale strumento di cambiamento) in luogo della reificazione di quest’ultimo come oggetto di diagnosi e cura.
La passività è certo uno degli aspetti non costruttivi della femminilità, che non producono crescita; ma la qualità dell’ascolto rogersiano è solo apparentemente passiva. L’ascolto inteso come “stare a sentire”, senza interrompere e senza giudicare, non è sufficiente a creare l’alleanza di lavoro che produce il cambiamento; per questo Rogers parla di ascolto attivo – la ricettività femminile implicita nell’atto di ascoltare si allea con l’attività, tradizionalmente di segno maschile.
Solo l’ascolto attivo infatti, correttamente inteso e applicato, genera nel cliente la percezione di essere realmente compreso – percezione che produce e mantiene l’alleanza. Stare a sentire senza giudicare non porta lontano se non si compie il lavoro costante di guardare il mondo con gli occhi di colui che parla: il counsellor pone domande aperte (quelle domande che non richiedono un sì o un no come risposta) e riformula (restituisce al cliente quanto costui ha rivelato, cercando di essere fedele alla sostanza del discorso e di rispettare quelle che sono le priorità del cliente); e poi ancora domanda e riformula. Con tali strumenti egli aggiusta costantemente il tiro allineandosi al cliente.
L’atteggiamento interno è dunque ricettivo – femminile – ma tutt’altro che passivo, perché può essere mantenuto solo grazie all’impiego attivo di quegli strumenti. Senza l’esercizio dell’attenzione – che a questo punto pare assumere una qualità marziale – la ricettività lunare è priva di nerbo.
L’esercizio dell’attenzione permette di non confondere l’empatia (altro cardine del metodo rogersiano) con l’identificazione. Diversamente dal sentire comune, l’empatia non coinvolge soltanto le emozioni; in realtà se il livello al quale percepiamo il vissuto del cliente è esclusivamente emotivo, è più facile che la nostra partecipazione scivoli nell’identificazione, dissolvendo il confine che ci mantiene separati dal cliente e instaurando una specie di “fusione” che attribuisce a lui materiale nostro (proiezione) e non ci permette di essere lì nel suo interesse.
L’empatia coinvolge invece con uguale forza il livello cognitivo e immaginativo: si tratta di imparare a vedere con gli occhi del cliente ‘come se’ fossero i nostri. Inoltre essa è un processo, non uno stato; una competenza, non uno stato di grazia o un elemento caratteriale fisso: non ci appartiene una volta per sempre, è necessario esercitarla, allenarla. Riuscire a cogliere il punto di vista dell’altro vuol dire comprendere il significato che egli attribuisce al materiale che porta in colloquio: se prender parte alle sue emozioni agevola il contatto (funzione lunare, nettuniana), cogliere il significato che egli attribuisce ai suoi vissuti (funzione gioviana) mantiene il confine (Marte, Saturno).
Porre domande aperte e riformulare consente di arrivare a “vedere con gli occhi di chi parla”. Ma come si può entrare in contatto con le emozioni dell’altro? Un canale è certamente la parola, nella misura in cui essa veicola le emozioni che il cliente ammette o si permette di provare; il canale principale è tuttavia il corpo, con il suo apparato comunicativo non verbale. Il counsellor osserva il corpo del cliente (postura, gestualità, ecc.) e restituisce quanto osservato (è il cosiddetto feedback fenomenologico, altro strumento del counselling rogersiano).
Di fatto non si può essere nel corpo dell’altro, non si può “sentire” alla lettera ciò che un altro prova. Oltre ad osservare il corpo dell’altro, tuttavia, è possibile mantenere il contatto con il proprio corpo. Livelli sempre maggiori di empatia si raggiungono quanto più si riesce a tenere l’attenzione sulle proprie reazioni corporee (= emotive) congiuntamente all’ascolto dei contenuti e all’osservazione del corpo del cliente.
La radice delle emozioni è corporea, e noi possiamo essere soltanto nel nostro corpo. Per quanto elevata diventi la nostra empatia, non potremo mai conoscere quella parte delle emozioni dell’altro legata alle sue sensazioni corporee. Comprendere questo significa tener conto della realtà della separazione – del nostro essere separati (Marte). Nel momento in cui ce ne dimentichiamo e perdiamo la consapevolezza vigile di essere comunque separati e distinti dal cliente, iniziamo ad attribuire a lui sensazioni nostre; con l’idea di esserci identificati ci siamo, di fatto, proiettati sull’altro. Pertanto l’identificazione (Nettuno) è, in ultimo, sempre un’illusione (Nettuno, appunto).
Nel counselling “non direttivo” rogersiano, quindi, facoltà tendenzialmente attribuibili al femminile, come l’empatia e l’ascolto, implicano una notevole e costante attività in termini di attenzione, consapevolezza, adozione di tecniche precise ed evitamento di comportamenti ostacolanti. Marte, Giove e Saturno sono coinvolti nel processo al pari di Luna e Nettuno; inoltre, per poter essere in grado di cogliere l’originalità irriducibile di ogni individuo, io chiamerei in causa anche Urano, ulteriore pianeta maschile.
Sembra pertanto che una relazione di aiuto, per essere realmente efficace, debba presentare caratteri androgini, ossia disporre con uguale padronanza del maschile e del femminile, calibrandoli opportunamente. Di fatto né la maschilità invasiva né la femminilità passiva sembrano agevolare un reale cambiamento, e d’altra parte, se è vero che la buona salute psicologica è data dall’integrazione, nell’individuo, di aspetti maschili e femminili, questa provvisoria conclusione mi pare coerente.
NOTE
(1) Psicologo e psicoterapeuta statunitense, 1902-1987. Creatore dell’approccio “centrato sul cliente” in psicoterapia e nel counselling. La sua notissima opera Psicoterapia di consultazione (1959, pubblicata da Astrolabio nel 1971), è considerata il punto d’avvio del counselling come professione a sé stante.
 
   
 
INFORMAZIONI SULL'ARTICOLO
 
(dalla relazione di Angela Leonetti al 1° Congresso di Eridanoschool, Marina di Castagneto Carducci, 24-26 ottobre 2008)
   
 
INFOMAZIONI SULL'AUTORE
 
Cancro ascendente Bilancia e Luna in Toro, Angela Leonetti vive e lavora a Roma. Laureata in Lettere ad indirizzo storico-religioso, ha svolto per alcuni anni attività di traduttrice dall’inglese per le Edizioni Mediterranee e le Edizioni Crisalide; per Astrolabio-Ubaldini ha tradotto I complessi psicologici nell’oroscopo di Liz Greene. Appassionata di astrologia psicologica dal 1988, ha tenuto tre conferenze per la Delegazione CIDA del Lazio (anni 2002, 2003 e 2005) e tradotto e pubblicato per il sito Convivio Astrologico (www.convivioastrologico.it). Ottenuto il Diploma di Counselor ad orientamento umanistico integrato presso l’ASPIC con particolare attenzione alle problematiche di coppia (www.aspic.it; www.mediare.it), dal 2007 tiene lezioni di introduzione al counseling per astrologi presso la Scuola di Astrologia Umanistica Eridanoschool diretta da Lidia Fassio (www.eridanoschool.it); figura inoltre fra i collaboratori fissi della rivista “Albatros”. Di recente ha partecipato come relatrice al I Congresso di Astrologia Umanistica organizzato dalla Scuola, e ha tradotto in italiano, nuovamente per Mediterranee, Moon-Node Astrology dei coniugi Huber (di prossima pubblicazione).