Per ricevere informazioni inserisci il tuo indirizzo Email
 
       

 

NOTE PER UNA LETTURA ASTROLOGICA DEL NOMADISMO
a cura di Francesca Innocenzi
   
 
NOTE PER UNA LETTURA ASTROLOGICA DEL NOMADISMO
Anticipando di un ventennio alcune formulazioni della junghiana Symbolik des Geistes, il mitologo Edgar Dacqué scriveva in Das Leben als Symbol, opera del 1928: «L’uomo è una rivelazione microscopica della sostanza dell’intero cosmo che egli porta in sé, e pertanto non può non essere sensibile ad ogni impulso, che inoltre, almeno in linea di massima, dovrebbe essere suscettibile di presentarsi alla sua coscienza… e l’uomo vede, a volte chiaramente, come nel creato tutte le cose a seconda delle loro caratteristiche corrispondano le une alle altre e nello stesso tempo corrispondano all’uomo stesso».
Così l’astrologia agisce in quanto sistema simbolico sulla base dell’inconscio collettivo inteso come cosmo, assetto organico di elementi eterogenei ed interagenti. La nozione di simbolo (dal greco symbolon, riconducibile al verbo symballein, “unire”) rinvia all’incontro unificante di realtà polivalenti; una rete di simboli assume un valore cosmico, racchiude l’umano nella sua componente mitico-archetipica, matrice comune e aggregante degli uomini di ogni tempo e luogo.
L’analisi delle condizioni storico-sociali in cui l’individuo, o un gruppo di individui, vive, fa luce sulle dinamiche di reciproco adattamento tra il simbolo archetipico e la storia: ogni prodotto - materiale o immateriale - del divenire è immancabilmente riducibile all’archetipo; quest’ultimo, d’altra parte, acquista un senso vivo e operante, continuativamente presente, solo grazie alle attualizzazioni storiche - comprese eventuali appropriazioni del dato mitico da parte di determinate correnti ideologiche - . Prendendo in prestito una formulazione dell’estetica di Gadamer, si potrebbe affermare che la storia procura nel simbolo un «aumento di essere», concretandolo in una sorta di «organismo vivente instabile», come la riflessione antropologica definisce oggi le culture. Una interrelazione portatrice di nuovi significati e letture del reale, imprescindibili radici di ogni agire costruttivo.
Il nomadismo è un modus vivendi sempre esistito, in rapporto a determinati generi di economia e organizzazione sociale. L’etnologia tradizionale lo connette con i popoli definiti “cacciatori e raccoglitori”: popoli che non producono generi alimentari – cioè non coltivano vegetali, né allevano animali - , ma si limitano ad appropriarsi di quanto trovano in natura, raccogliendo frutti, piante e radici, cacciando o pescando. Questa è stata la forma di economia di tutta l’umanità per centinaia di millenni, e persiste tuttora presso alcune popolazioni dell’Africa (Pigmei), dell’Asia (Vedda del Ceylon), dell’America Settentrionale (Eschimesi, Indiani della California) e Meridionale (popoli della Terra del Fuoco e della Foresta Amazzonica), e presso la totalità degli indigeni in Australia.
Nel Vecchio Continente è l’etnia Rom ad essere più che mai legata allo stile di vita nomade, cui viene costantemente associata nell’immaginario comune. Anche nel caso in cui tra i Rom si riscontri un significativo tasso di sedentarizzazione - come di fatto avviene oggi nel nostro Paese e non solo -, il loro ethnos resta comunque aterritoriale e sovranazionale; pur avendo acquisito il senso di appartenenza alla nazione in cui risiedono, gli “zingari” conservano un’identità propria, un’identità altra, ma non per questo antagonista a quella della società maggioritaria.
Il nucleo archetipico del nomadismo è individuabile, astrologicamente parlando, nell’asse II-VIII Casa (asse Toro-Scorpione): al simbiotico legame con la Terra che offre nutrimento e sostentamento segue l’inevitabile differenziazione, il distacco che induce a spostarsi altrove, seguendo i cicli del tempo e delle stagioni. Dalla II-Toro, emblema della placida immersione nel proprio habitat, il nomade si spinge fino all’VIII-Scorpione, approdando a una territorialità diversa, acquisita per lo più provvisoriamente, impiantata nel regno dell’alterità - ricordiamo che la Casa VIII si trova nel terzo quadrante zodiacale, quello dell’espressione dell’Io con l’altro -; un luogo, geografico e mentale, in cui ci si stabilisce momentaneamente in qualità di ospiti, affittuari, gente di passaggio.
Storicamente i Rom, dopo essersi allontanati dalla loro regione d’origine, l’India, intorno l’anno mille, hanno di volta in volta preso in adozione strisce di terra in cui vivere, o sopravvivere, a tempo limitato, all’occorrenza pronti a distanziarsene senza eccessivi rimpianti. Non va per questo tralasciata la polarità di attaccamento all’habitat (Casa II), suggerita dall’abitudine di portare con sé, quando possibile, la propria “casa”, cioè la kampina, la roulotte, che accompagna costantemente i vari spostamenti e viene pulita, ordinata e arredata con grande cura e buon gusto (un probabile effetto di Venere, domiciliata in Toro!)
L’azione combinata di Plutone e Mercurio, che agiscono entrambi sulla Casa VIII – l’uno è domiciliato, l’altro esaltato in Scorpione - rinvia ad altri aspetti archetipico-antropologici della realtà Rom. Innanzitutto Plutone, nella sua valenza creativa di liquido seminale (nella filosofia neoplatonica del mito Ades-Plutone era il demiurgo, antica personificazione di una germinazione nascosta, ipoctonia, poi assurta a principio creativo di carattere metafisico), sottolinea l’importanza della trasmissione del patrimonio genetico ereditario: l’ereditarietà è un concetto chiave dell’ottavo settore zodiacale. Ciò determina la sostituzione del senso di appartenenza a un territorio stabile, che contraddistingue i popoli di tradizione sedentaria, con il senso di appartenenza alla stirpe, alla famiglia allargata e, più per esteso, all’ethnos. Interessa notare, per inciso, che all’origine delle pulsioni xenofobe risiede – insieme ad altre componenti – la paura di un’espropriazione di territori e di beni, rappresentati dal Toro: nello sradicamento del mondo globale, dominato dall’attaccamento idolatrico all’oggetto-merce in un vero e proprio delirio della proprietà, i comportamenti xenofobi fanno tutt’uno con la caccia a ladri e rapinatori (e chi più del Rom viene considerato “ladro” per antonomasia?). Se la Casa VIII denota, nella sua forma evoluta, una sostanziale autonomia dall’oggetto, in quanto acquisizione solo transitoria, è sempre in agguato il rischio di un “capovolgimento”, ovvero che la rimozione di Plutone, con il suo invito alla conoscenza profonda di sé e dell’altro, alla trasformazione e all’uso corretto del potere personale, degeneri nel lato più involuto della II Casa-Toro, l’idolatria dell’oggetto e/o dell’immagine: è questo il caso di quegli “ultimi” che finiscono per trovare modalità di riscatto tutte materiali ed esteriori.
Per non disconnettersi dal dato storico vanno ricordate le ininterrotte persecuzioni che, attraverso i secoli, hanno colpito il popolo Rom, esemplificazioni del “lato oscuro” del nomadismo, una condizione forzata e sofferta, da veri esuli da tutte le terre: un’ulteriore lettura in chiave collettiva dell’asse II-VIII, legato ai distacchi dolorosi e non spontanei. E, in fondo, quanto viene stigmatizzato come “male assoluto” è riconducibile al re degli Inferi, Ades, quindi all’archetipo plutonico; ma Plutone, come sappiamo, segnala soltanto un “annebbiamento” che andrebbe eliminato per riuscire a cogliere il reale nelle sue luminose potenzialità, e per evitare che si distorca in direzioni distruttive.
L’esaltazione di Mercurio, simbolo della comunicazione, dei contatti e degli scambi, è emblema di come una minoranza etnica si trovi inevitabilmente ad interagire con il maggioritario, prima di tutto per ragioni di sostentamento economico: i Rom sono sempre stati abili commercianti, venditori di manufatti, ma anche (per la duplice influenza mercuriale e plutonica) giostrai, circensi e uomini di intrattenimento, mestieri che coniugano attitudini comunicative e doti istrioniche. Questo oculato sfruttamento delle risorse ambientali si palesa anche nella pratica del manghel, l’elemosina: qui l’influsso combinato di Mercurio-Plutone coniuga l’arte della relazione (Mercurio) a un’innata conoscenza della psicologia umana (Plutone). Questa valenza relazionale di Mercurio si esplica poi su un piano più estesamente culturale: l’esperienza dimostra che l’etnia romanì è capace di conoscere e farsi conoscere, di incanalare la propria identità in un ricchissimo bagaglio di tradizione orale, che trova oggi espressione anche nella scrittura. I Rom che hanno raggiunto un buon livello di integrazione, infatti, scrivono per diffondere - e difendere - i propri valori identitari, utilizzano Internet, entrano a far parte del popolo dei blogger, in reti dove la comunicatività mercuriale incrocia percorsi interattivi di uraniana e acquariana ascendenza (XI settore).
A un livello personale l’asse del nomadismo suggerisce la fine delle simbiosi, la necessità dell’impermanenza, del perdere e del perdersi; ma occorre prima aver iniziato il superamento della centralità dell’ego (Casa V) attraverso l’introiezione del concetto di regola (Casa VI) e aver poi sviluppato una matura capacità di scelta basata su valori autenticamente personali (Casa VII).
Un suggestivo spunto di Hermann Hesse, che riteneva l’attitudine alla migrazione originata almeno in parte dall’impulso a trasformare l’elemento erotico, troverebbe conferma in questo universo di simboli, dove l’eros profondo, come il nomadismo, ha a che fare con il sostrato archetipico scorpionico; un erotismo che si nutre della dissoluzione in ogni sua forma come insopprimibile esperienza vitale: un sì alla vita fin dentro la morte, per dirla con Georges Bataille.
La lettura di ogni cosmologia astrologico-archetipica prova che il mito è in grado di aprire scorci sulla storia, illuminandola di senso. E la promozione di una conoscenza di dimensioni profondamente umane potrebbe forse contribuire ad eliminare in buona parte paure pregiudiziali, dannose per le quotidiane forme del vivere comunitario.

 
   
 
INFORMAZIONI SULL'ARTICOLO
 
Scritto da un'allieva del Corso di Astrologia Psicologica e Umanistica di 2°Livello
   
 
INFOMAZIONI SULL'AUTORE
 
Francesca Innocenzi è nata a Jesi nel 1980.
Si è laureata in Lettere classiche a Macerata, e in seguito ha conseguito un dottorato di ricerca in discipline di età tardoantica, con una tesi sulla nozione di daimon nella tradizione filosofico-letteraria.
Ha dato alle stampe la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007) e la silloge poetica Giocosamente il nulla (Progetto Cultura 2007). Il suo innato nomadismo esistenziale e culturale l’ha portata all’incontro con il mondo rom. Per le Edizioni Progetto Cultura ha curato le antologie di poeti rom Versi dal silenzio (2007) e L’identità sommersa
(2010). Attualmente dirige la collana “La scatola delle parole” delle Edizioni Progetto Cultura.
È nata sotto il segno del Leone con Ascendente Sagittario e Luna in Capricorno. Ha iniziato a studiare astrologia da autodidatta all’età di tredici anni. Da settembre 2009 segue il corso di Astrologia Psicologica e Umanistica di secondo livello (metodo Eridano School) tenuto da Nazzarena Marchegiani.